Te la ricordi Lella, quella ricca?


Non capirete niente di questo posto se rimarrete indifferenti alla sua luce. E’ palpabile, anche nelle ore più roventi. Quando costringe ad abbassare lo sguardo. Fiumara è posto di luce. E di vento. Il Libeccio che si infiltra nelle stradine sterrate e spazza tutto. Il faro abbandonato che, un tempo, indicava ai marinai che la terra era a un tiro di schioppo e che le donne avrebbero fatto dimenticare la passione dei mari e delle isole lontane. Fiumara, a dire il vero potete ammirarla solo così, arrivando dal mare. La mattina presto. All’ora in cui il sole sorgendo dietro l’isola dei cavalli, in mezzo al Tevere, regala un po’ di rosa alle pietre della scogliera, magari dopo una notte di pesca a largo. E che importa se è esagerato dire così! Fiumara esagera sempre. E’ la sua essenza. E niente, nella sua essenza, è cambiato dal giorno della scoperta del corpo di”Lella, quella ricca…” sotterrato sotto al pavimento in legno di un capanno da pesca, ancora con le “carze che nun se tojeva”,  e che il mare ha riportato allo scoperto. Tutto sembra fermo agli anni in cui il vecchio Lilly aveva  il suo “baretto” di legno al centro dello slargo di Passo della Sentinella.


Ora qualcuno ha deciso che tutto questo dovrebbe sparire, spianato dalle ruspe. Tutto deve soggiacere alla cieca razionalità del conformismo e della ragione o forse, come più d’uno da queste parti è tentato a credere, a scambi di favori politici fra istituzioni e per favorire una successiva, quanto facilmente pronosticabile, speculazione.  Eppure mancherebbe la Fiumara, anche a tutti quelli che l’hanno sempre additata come un luogo di degrado e di vergogna. Mancherebbe la sua architettura spontanea, anarchica per vocazione;  il suo essere un po’ Babilonia e un po’ paese nel paese.  In fondo basterebbe un pochino di lungimiranza, ma neanche troppa, per capire che: rafforzare un argine già esistente e sostanzialmente efficace,  basterebbe per mettere in pace tutto e tutti. Forse addirittura, con un minimo investimento, a rendere il borgo ancora più caratteristico e certamente più sicuro.
Passa invece, in nome di una riscoperta ed effimera quanto strumentale “sicurezza”, la tesi  che basta deportare un pezzo di storia di Fiumicino; ricollocandolo poche centinaia di metri indietro, alla stessa altezza e alla stessa distanza dal fiume, ma in loculi costruiti ad hoc, che prima di tutti farebbero la felicità di qualche costruttore e dei suoi molteplici referenti politici.  Abbiamo purtroppo constatato, proprio quest’anno, che la natura si è presa le sue belle rivincite, proprio in luoghi che sono e restano tra i più belli e caratteristici che l’Italia possa vantare. Mi riferisco alle cinque terre, in Liguria. Qualcuno ha forse pensato di demolire Monterosso, Corniglia, Vernazza o Manarola? L’ottica  attraverso la quale è doveroso affrontare il problema a mio avviso è la stessa. Facciamo in modo di salvaguardare l’esistente con opere che abbattano le possibilità di rischio e non posso credere che nel secondo millennio tutto ciò non sia possibile se non attraverso la demolizione e la “ricollocazione”. La sostanza invece, nemmeno troppo celata, è invece una mera operazione di facciata. Il nuovo porto turistico, ammesso che si riesca a costruirlo, perderebbe un pochino del suo valore se affiancato da un quartiere lasciato da anni nel degrado. I centri commerciali già preventivati sulla stessa area, idem. Ecco, allora, che i paladini della sicurezza risorgono dalle ceneri, come l’araba fenice e si inventano il famoso “nuovo argine” che bypassa la zona S.I.C. (sito di interesse comunitario) e recinta, di fatto, la zona dell’isola sacra adiacente al fantomatico porto della Concordia dando il via libera, con il placet di regione e comune, alla corsa all’edificazione di migliaia di metri cubi di cemento  che andrebbero a sommarsi a quelli del nuovo “molto ipotetico” porto della Concordia. Questo è l’unico vero motivo per cui Passo della Sentinella dovrebbe sparire.  In tutto questo scenario, la politica fa spallucce.  Hanno votato compatti lo scempio ambientale del nuovo porto turistico, ben sapendo che probabilmente era l’ultima cosa di cui aveva veramente bisogno Fiumicino. Abbagliati ed attratti come falene dalla  luce di una ipotetica quanto illusoria creazione di nuovi posti di lavoro che non ci saranno né verranno mai. Resta, invece, uno scenario apocalittico di distruzione della costa, abbandonato a se stesso dai fallimenti e dalle vicissitudini giudiziarie delle ditte concessionarie, appaltatrici e subappaltatrici.  L’ennesima cattedrale nel deserto, in perfetto stile italico.

 Mi chiedo con quale presunta buona fede le amministrazioni comunali prima e quelle regionali poi, negli anni, non abbiano capito che Fiumicino aveva, prima di tutto, la necessità di diventare una città vivibile, sotto tutti i punti di vista:  una viabilità interna decente e collegamenti intelligenti  ed  ecosostenibili con la capitale, strutture ricettive per il turismo degne di quel nome, gestione e valorizzazione delle risorse archeologiche e culturali del territorio, lotta alla micro e macro criminalità così profondamente radicata e palpabile in tutta l’area del litorale. Solo con questi pochi esempi è facile capire che sarebbe stato possibile far ripartire il volano dell’economia locale in modo qualificato, a basso impatto ambientale ed altrettanto positivo per l’intera comunità.

Si è invece optato ciecamente per la via più facile e più remunerativa (per i soliti pochi):
il cemento.  L’indotto di tutto questo si limiterà alla manodopera straniera sottopagata  e qualche “smorzo” (vendita all’ingrosso di materiale edile) in più. Una nuova guerra di appalti e appaltatori che trascina inevitabilmente con se: corruzione, criminalità e disagio sociale.

Commenti

  1. Potrei leggermeli in ordine. Ma Pennac sostiene che le cose vanno lette a "sentimento". E quindi, a sentimento, per il titolo ce sta bene questo, mo' dopo la storia di Gino. E poi me li leggerò un poco per volta. Che ne penso? che mi ci affezionerò :)

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  2. Ha ragione Pennac, d'altra parte nemmeno io li scrivo con un ordine mentale precostituito e tanto meno cronologico. Ogni tanto butto giù qualche sensazione, così quando e come mi viene. Anche io, spesso, senza nemmeno rileggere.

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