Fiumara Grande: la banlieue fiumicinese

"Quanno rubavo l'autotreni…" Così inizia il suo racconto R. sessantotto anni, molti dei quali passati tra un penitenziario e l'altro della penisola. Mi racconta di quante volte abbia provato ad abbandonare questo comprensorio, questo meticciato etnico che è Fiumara oggi. 

Non ci è mai riuscito. Vive qui, in una casetta in affitto, lui che di case ne ha costruite davvero tante (tutte rigorosamente abusive). "Questa l'ho fatta nel settanta, questa nell'ottantuno" e sciorina date, indicando ora questa ora quella abitazione. R. conosce bene "la Fiumara" ed è uno di quelli che per indicare il paese di Fiumicino lo chiama: "La parte de' llà", quasi a prenderne le dovute distanze. Ogni casa che si affaccia sulle strade dissestate - allagate d'inverno e impolverate d'estate - ha una storia sua e R. la conosce. 

Continua raccontare di come la gente abbia lottato per avere l'acqua: Scavi notturni -pala e piccone- da Passo Buole sino a Fiumara per portare le tubazioni . Tutti collaboravano. La promessa era infatti : "Voi portate i tubi e noi vi allacciamo l'acqua " . Era uno di quei tanti accordi "sottobanco" presi dal consorzio per migliorare le condizioni di vita degli abitanti.

Fu istituita, ogni 16 di Agosto, una vera e propria festa per ricordare quando, per la prima volta, le fontanelle hanno incominciato a versare il prezioso liquido. 

" Prima, ogni famiglia andava a prendere l'acqua con le taniche fino in paese e nessuno aveva l'acqua corrente in casa. Se semo fatti un culo così!!"

Ancora oggi esiste il "capo fontana": colui che legge i contatori della sua via o zona e passa di casa in casa a riscuotere i soldi, perché la fornitura è una sola e non ci si può permettere di essere "morosi". 

Non credo che si tratti di amore sviscerato per questi luoghi quello di R. , ma di una concezione di appartenenza che lo ha portato a battersi, a considerarsi "fiumarolo", profondamente inserito nella storia di questo posto, a cavallo tra un'orizzonte definito - quello dall'altra parte del fiume - e quello sconfinato del mare.




Chi viene da queste parti non trova mai davvero quello che è venuto a cercare. Forse perché le linee delle rive del fiume, il mare, le luci e le ombre fanno esaltare lo spirito di contemplazione. L'ho scoperto a casa mia, o in quella che lo è diventata, dopo la vendita del piccolo appartamento di Roma dove era diventato difficile pagare la rata semestrale del mutuo col mio misero stipendio di musicoterapista . A pochi passi dal vecchio faro, ore e ore a guardar passare i pennoni delle barche a vela nello stretto della foce del Tevere e qui, e in nessun altro posto, che mi sembrano le più belle.

R. questo lo ha capito da tempo, anzi, lo ha interiorizzato. Agli inizi degli anni '80 è partito per l'Inghilterra, seguendo un'amore. : " Nun capivo nà parola e ce sò stato due anni senza capì quello che dicevano…." Poi mi confessa che, ogni settimana, prendeva l'aereo e ritornava qui, a Fiumara, per il week end. - In quel periodo ero "in grana" - aggiunge, quasi a giustificare la necessità impellente della partita a poker con quegli amici e non con altri qualsiasi, o la voglia di sentirsi chiamare con il suo soprannome (qui quasi tutti ne hanno almeno uno). Non si è mai sposato " tanto ce stanno le mogli dell'altri " afferma col sorrisetto guascone. La realtà invece è che R. è solo e ormai i tempi del soldo facile sono lontani un po' per scelta e un po' per raggiunti limiti di età, ma qui, in questo meticciato etnico, R. ha il suo mondo, il luogo dove le sue precarie radici hanno attecchito più che in qualunque altro luogo.

La storia di T. non è molto diversa nella sostanza. T. è una donnina sulla settantina, minuta e sempre avvolta da una vestaglia a fiori. Nelle mattine d'inverno la puoi trovare, nei giorni di mercato, immancabilmente ferma nella nebbiolina che avvolge Fiumara in quel periodo, davanti alla sua casa, ad aspettare "l'autino" che la porta in paese. Il suo accento sardo non si è perso nonostante gli anni trascorsi prima a Roma, nel cuore di Trastevere e poi qui, a Fiumara.

La casa di T. è la cartina tornasole del tempo meteorologico di questa zona. Se, percorrendo la strada che costeggia il suo muro di cinta, vedi spuntare uno di quei grossi tubi di gomma telata che attraversa la strada e si perde nel fossato laterale, procurati pure un ombrello. Pioverà, senza alcuna ombra di dubbio. Ogni abitazione, o almeno quasi tutte, a Fiumara, hanno una pompa per tirare fuori l'acqua. Le fogne non ci sono e i torrenti, provocati dalla pioggia, infilano i portoni ad invadere il patio (quando va bene) o la casa vera e propria (quando va male). 

T. mi racconta di una vita trascorsa spesso a prendere treni e autobus che la portavano in giro per l'Italia ai "colloqui," nelle varie carceri che il suo compagno frequentava:
Porto Azzuro, Lucciardone, Milano, Torino… grandi città e piccoli paesi sperduti T. li conosce tutti a menadito. Traspare anche, nelle sue parole, l'orgoglio di essere sempre rimasta fedele nelle lunghe forzate assenze del suo uomo che ora non c'è più. T. rigira la medaglietta che tiene al collo per farmi vedere la fotografia di chi le ha procurato tanta sofferenza, ma le ha anche lasciato un immutato, profondo, commovente sentimento d'amore.

T. è una donna combattiva. Si nota subito che la sua natura, probabilmente mite, ha dovuto trasformarsi e imparare a mostrare i denti, a cavarsela da sola, sempre. Mi racconta di una sorta di "presidio" creato dai residenti durante uno dei tanti pericoli d'inondazione del fiume Tevere, in cui le autorità non volevano far rientrare gli abitanti nelle case. Presidio nato per bloccare la strada d'accesso con un camion messo di traverso alla carreggiata. " Si dormiva e si mangiava lì e tutti ci si organizzava per portare da mangiare a quelli che stavano sotto al telone del camion. "

Queste sono un paio di storie tipiche di chi vive da tantissimi anni in questa banlieue Fiumicinese.

Io, appena arrivato dalla metropoli di Roma, ho trovato in questo luogo semidimenticato dalle istituzioni, una umanità, un senso della collettività che Roma, con i suoi palazzoni dormitorio, ha ormai perduto. Io, a mia volta contadino inurbato ,nato nelle valli Piemontesi, ho ritrovato, in riva al mare di Fiumicino le mie radici contadine e la semplicità di chi ancora vede nel prossimo qualcuno con cui dialogare.
E' strano davvero che nessuno dei politici che hanno governato negli anni questo comune abbia davvero preso a cuore i tanti problemi che affliggono Fiumara: Le fogne, l'illuminazione stradale, un minimo di urbanizzazione. O forse non è strano affatto e la politica preferisce pensare che lasciare questo quartiere a se stesso sia un modo come un altro per fare in modo che si "autoestingua". Non è così, Fiumara cresce e la sua gente, prima o dopo sarà in grado di presentare il conto alle istituzioni.

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