Ho voluto dedicare al Bacàn queste righe perché Venezia è sempre stata, per me, un luogo di grandi amori, quelli che appaiono e scompaiono come l’isola stessa. Ora che il Mose l’ha resa eterna, temo che si sia perso il mistero più grande: la bellezza di ciò che torna solo quando sa farsi attendere.
El Bacàn
L’isola del Bacàn, quella striscia di sabbia dorata che emergeva come un miraggio nella laguna di Venezia, era il cuore segreto di chi amava la solitudine estiva e il lento scomparire delle cose belle. Come una creatura stanca, si alzava tra giugno e settembre, sospirando sotto il sole e l’abbassarsi delle maree. Poi si ritirava, addormentandosi sotto il velo freddo e lattiginoso dell’acqua d’inverno, lasciando solo il ricordo di una promessa, la certezza che la bellezza esiste solo quando sa nascondersi.
Ora, però, il Bacàn è emerso ogni giorno, indifferente al tempo, grazie al Mose, quella grande diga d’argilla e ferro che separa il mare dalla laguna come un guardiano impietoso. Non c’è più riposo per l’isola, non più il suo letargo ciclico, e chi era abituato a vederla scomparire si ritrova smarrito. È come un amore che non ha più segreti, un fiore che fiorisce ogni giorno e non ha più la grazia di morire.
Così chi, come Giovanni, giungeva ogni estate alla ricerca di quel poco di eternità con cui giocare, si ritrova adesso a contemplare l’isola come una vecchia amante che non si decide a lasciare la stanza. Giovanni la vede immobile, stanca, come una pietra che dimentica l’ombra. Il Bacàn, che un tempo era il respiro della laguna, si è trasformato in una pausa trattenuta per sempre, un silenzio senza fine.
“Un’isola deve saper scomparire,” ripete Giovanni guardando il paesaggio, mentre le barene* scivolano come vecchi fantasmi in un mare trattenuto. “È nella scomparsa che si cela la poesia.” Ora la poesia è finita, come finisce la notte quando il sole insiste troppo a lungo. Perché le cose belle, lo sapeva anche il vento di settembre, hanno bisogno del buio per tornare a vivere.
Il Bacàn resta lì, un corpo nudo che nessuno osa coprire. Si sono perse le piccole onde che lo cullavano in autunno, le piogge che lo accarezzavano di marzo, come un vecchio baule che si riapre troppo spesso e perde il profumo del passato. E mentre le acque del Mose stringono la laguna come una cintura invisibile, Giovanni sente che qualcosa è morto, qualcosa che nemmeno il più gentile dei tramonti riuscirà a riportare in vita.
Eppure, pensa, forse è questo che accade alle isole, come agli uomini: quando smettono di scomparire, dimenticano come essere vivi.
E.G.M
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