il vecchio Lilli


Ci sono storie che diventano leggende;  e le leggende sono la nostra storia recondita.
L’ho imparato frugando, come in una soffitta familiare, nelle carte e nelle vecchie foto della Fiumara e mettendo a confronto quanto scoprivo dai racconti dei vecchi di questo luogo e dai paesaggi, che la frequenza quotidiana non svilisce. Più passa il tempo e più mi accorgo che il sovrapporsi  tra realtà e immaginario che si sedimenta nel profondo della nostra anima, sia un evento naturale che ci porta, durante la vecchiaia , a tornare bambini.
Il vecchio Lilli – da lui ha preso il nome l’unica trattoria della zona- e la sua domanda retorica  senza risposta che riproponeva ogni qualvolta aveva alzato il gomito e stava appoggiato al tavolino della cassa, con la testa a penzoloni, disattento e perso nei suoi alcolici pensieri: “ Se Civitavecchia è vecchia e Ceri c’era, chi è più vecchia? Ceri o Civitavecchia?” è  la parafrasi della vita stessa e della storia di questo  bordo di fiume con tante identità e nessuna certezza. Non c’è risposta alla domanda di Lilli e soprattutto non vuole esserci,  perché ad ogni possibile soluzione esiste il suo perfetto contrario.  


Quando era vivo il povero Lilli, c’era la spiaggia a Fiumara. La si intravede anche in qualche foto ingiallita dal tempo che qualcuno gelosamente conserva: ombrelloni, sdraio, perfino un pattino.  Mamme abbondanti nelle forme e nelle razioni di pasta al forno cucinata prima di portare i pupi ar mare. E uomini impomatati,   -che allora la brillantina andava che era una bellezza-, stazionavano in quella lingua di sabbia  affacciata sulle  acque salmastre della foce del Tevere. Le urla di richiamo ai discoli,  perché a Fiumara non si parla, si strilla,  abituati da sempre a non essere ascoltati.  C’era la statua di Sophia Loren dello scultore Assan Peikov, quello della stele ai martiri di Kindu vicino all’aeroporto, che qui aveva una casa, ma  il mare se l’è portata via in una delle tante alluvioni. La statua della Sophia nazionale c’è ancora, ma è monca senza braccia e testa ed ha perduto qualsiasi sensualità.

Le case erano palafitte di legno spesso infilate in mezzo ad immensi canneti. L’Arundo Donax – il nome scientifico della canna palustre- era la regina da queste parti. La battaglia fra l’uomo e la canna continua ancora oggi, ma allora, al tempo della leggenda, lei era la più forte. Si prendeva tutto in un battibaleno e non c’era verso di sconfiggerla. La lotta impari tra la falce dell’uomo e la Regina verde, vedeva vincere lei, quasi sempre. Poi le case sono diventate più grandi e più accoglienti, l’abuso è diventato abitudine. Fiumara è tutta un abuso, anche il nome stesso è un abuso. Fiumara non esiste, è solo un concetto.
 Nella gente di qui si mescolano una tristezza e una sensibilità quasi genetiche. Basta scrutare le loro vite di tutti i giorni per riconoscere uno stile ormai in disuso, dal sapore forte: la solidarietà reciproca della borgata anni ’50. E allora li vedi lavorare insieme, sotto il sole, ad estirpare erbacce di altri in un luogo che invece considerano loro. Tanta è la voglia di prendersi quel pezzo di terra che li ha visti nascere, crescere, invecchiare.  Commoventi come solo la gente semplice riesce ad essere, orgogliosi anche di quella loro povertà.  E’ gente che si commuove ancora ad una canzone triste e non ha paura di dimostrarlo. Anche per questo mi piace. Un poeta Senegalese,  Léopold Sédar Senghor  scrisse: ."Là dove senti cantare fermati. Gli uomini malvagi non conoscono canzoni”.

Commenti

  1. La storia va sempre raccontate per ricordare come era e riconoscere che i nostri antenati sono stati dei gli esploratori rispettando trasformando e rendendo tutto più agevole per tutti noi trovando posti dove la natura ancora ci rende felici e noi non dobbiamo di struggere quello che ci anno lasciato ma curiamolo lasciando cosi la sua bellezza abbiamo rispetto difendendo e tenendo lontano il cemento.

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  2. Devo dire che tutto questo mi ha commosso profondamente, riportandomi indietro nel tempo,e che rivivo tutto questo,continuo ha lottare per tutto questo,come lottano tutti quelli che in questo luogo vivono ed hanno vissuto,per noi stessi e per i nostri figli e nipoti.

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